(di Maria Grazia Sclafani) Noi Siciliani, si sa, le inventiamo proprio tutte pur di preparare e consumare dolci. Anche quella di inventarci due feste per lo stesso santo. La tradizione, infatti, prevede un San Martino dei ricchi, che è quello dell’11 novembre, e uno dei poveri. Questi ultimi per festeggiare attendevano la prima domenica successiva al giorno 11 perchè dovevano aspettare di riscuotere la paga settimanale.
A Palermo il San Martino dei poveri veniva festeggiato con il rito del tipico biscotto “abbagnatu nn’u muscatu”. Ma perché per inzuppare il biscotto si usa utilizzare proprio un vino liquoroso, il moscato o il passito di Pantelleria? Ora, se leggendo questa frase state sorridendo e pensando a un neanche tanto malcelato doppio senso, avete proprio ragione. Questa tradizione nasconde una leggenda carica di passione, che molti non conoscono. Questo vino – racconta la leggenda – fu usato da Tanit, la dea punica della fecondazione, per attirare l’attenzione di Apollo di cui si era invaghita. Cosa che le riusciva difficile, visto che Apollo era intento a fare altro. Venere, la dea dell’amore, le consigliò di salire sull’Olimpo, fingersi un’ancella e farlo inebriare con del vino. Tanit seguì il consiglio e, portandogli una coppa degna di un dio, sostituì l’ambrosia, bevanda abituale degli dei, con il mosto delle vigne di Pantelleria. Il trucco riuscì e Apollo, inebriato dal vino pantesco, si innamorò passionalmente di Tanit. Il celebre passito in effetti è prodotto nell’isola da tempo immemorabile (una cantina lo commercializza proprio col nome e con l’effige della dea) ed era considerato, manco a dirlo, divino nella sua semplicità. Cominciò ad essere esportato solo nel 1883 e nel 1936 fu inserito tra i vini tipici italiani per il suo “aroma delicato e fine e per il suo sapore vellutato, dolce, carezzevole, generoso”, e già nel 1971, ottenne la Doc. Il vino ha una lavorazione particolare: i grappoli di uva Zibibbo, raccolti ad agosto, sono fatti appassire al sole sui graticci disposti sugli stenditoi di pietra nel vigneto per un tempo variabile dai 15 ai 30 giorni. Da quegli acini appassiti si ottiene così un vino dal profumo intensamente fruttato di albicocca e pesca sciroppata, dal gusto dolce, pieno, aromatico, ma non stucchevole. Che ben contrasta nell’incontro col rude e poco dolce sammartinello, che ricollegandoci alla leggenda, simboleggerebbe il dio del Sole, Apollo e per questo ben si associa all’estate tardiva di San Martino.
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2015 Prodotto da Edigma | Testata registrata presso il Tribunale di Palermo, n.18 del 05/11/2013 ISSN 2783-3242 P.iva 05077510823